Sei diventato un simbolo tuo malgrado. Di sicuro non volevi questo, né lo volevamo tutti noi. Ad un anno di distanza dalla tua morte riesco ancora a sentire l’eco di quel maledetto sparo e tanta, tanta freddezza dentro. Non mi riesco a capacitare. C’eri tu in quella terribile traiettoria, ma ci potevo essere io o chiunque altro che la Domenica si muove per seguire la propria squadra. E’ proprio questo che mi fa gelare il sangue. Quante trasferte ho fatto per la Lodigiani? Ormai ne ho perso il conto. Quante volte abbiamo incrociato agenti della Polstrada che, teoricamente, avrebbero potuto farci la stessa cosa che hanno fatto a te? No, non c’è nessuna giustizia in tutto questo. E non mi riferisco a quel bastardo impunito che ti ha freddato solo perché è un incosciente senza cervello al quale è stato permesso di servire uno Stato sempre più lontano dai cittadini e sempre più protettore della propria casta politica. Mi riferisco al fatto che un ragazzo che, come tutti noi, domenicalmente, ha fatto un sacrificio per seguire una passione comune a centinaia di ragazzi, ha dovuto fare la tua fine. E’ vero, non ti conoscevo, ma il fatto che sei andato a seguire la tua Lazio rinunciando ad un comodo sonno nel tuo letto dopo una nottata di lavoro in discoteca, ti rende molto più vicino a me di quanto si possa immaginare. Su di te si è detto di tutto, e non sempre belle cose, e sai a chi mi riferisco. Si è anche detto che non eri neanche un ultras, ma uno che partiva come partivi tu non so con quali altre parole descriverlo. E per me la parola ultras, così disprezzata, così calpestata, così vilipendiata dalla morale comune, ha un valore immenso. Si caro Gabriele, tu eri un ultras come tutti noi, e non c’è di certo bisogno che te lo dica io. Chissà se pure tu ti sei avvicinato allo stadio leggendo Supertifo e cercando di sentire, da piccolo, i cori delle tifoserie in televisione durante le partite. Non lo saprò, purtroppo, mai. Però sono sicuro di una cosa: che dal giorno che non sei più in questo mondo sei diventato una parte di tutti noi. E’ per questo che, ad un anno di distanza da quel fattaccio, nessuno ti ha scordato, nessuno. Non è bastato lo Stato che ha cercato di far dimenticare la faccenda o di spostarla su altri aspetti; non è bastata una (dis) informazione che ci fa credere che la Polizia ha sempre ragione anche quando manganella ragazzi di 16 anni o donne inermi. Viviamo in uno stato di merda, e credo che lo hai sempre saputo questo, caro Gabriele, così come lo sa tutta la nostra generazione senza futuro. Ed è proprio perché viviamo in uno stato del genere che il colpevole non è stato preso e sbattuto in cella immediatamente. Anzi, nel frattempo questo spregevole individuo ha ripreso a lavorare, si è fatto le ferie estive e tutte le vacanze a casa.
Sai, di questo fantomatico individuo che ti ha distrutto l’esistenza, non si sa quasi nulla, neanche se quello comunicato a tutti noi sia poi il suo vero nome. E’ uscita una sua intervista su qualche giornale, ammesso che sia la sua. E poi ha parlato il suo avvocato (perché a certa gente danno pure la facoltà di avere avvocati), dicendo che lui non è lo stesso da quel maledetto giorno, e che ha il volto segnato. A questo ci credo,e mi viene in mente una di quelle scene del film "Match Point" di Woody Allen, che passerà alla storia del cinema. Quando, al protagonista, di notte, appaiono le due persone che lui ha ammazzato, due fantasmi femminili, e gli parlano, senza urla stridule e senza terrorizzarlo: parlano, con molta calma, alla sua sporchissima coscienza. E sono sicuro che tu vai spesso a trovare quella persona, a ricordargli il peso delle sue azioni. E questo mi fa sentire un pò, ma non molto meglio. Perché so che, almeno così, in qualche modo, in qualche forma, in qualche sostanza, c’è un minimo di giustizia. Che non è senz’altro quella degli uomini mortali.
Non ti scorderemo e combatteremo per te, ultras come noi!
Stefano – UL’96